AFFINITÀ
È l’inclinazione di chi è a capo di aziende e, a pieno titolo, di proprietari di molti fitness club. Non dovrebbe essere diverso per chi gestisce piscine e complessi sportivi: la maggioranza è assegnataria di centri acquatico-polifunzionali per cui paga un canone, rischiando in proprio. Il titolo di imprenditore non è qualifica che elevi più di altre la figura di chi la incarna, ma aiuta a fare chiarezza su chi compone la categoria e cosa sarebbe lecito attendersi da chi ne è parte, alla stregua di quanto avviene nell’industria, nel commercio, nel turismo e in altri ambiti.
VALORE
La sana solitudine di chi intraprende è un valore cui pochi imprenditori sono disposti a rinunciare, una sorta di libertà che comporta un impegno rilevante, sostenuto esemplarmente da alcuni, da altri meno.
“SOLI” MA UNITI
L’accostamento imprenditore-gestore sembra improprio in chiave aggregativa, perché se la solitudine è una scelta, di sicuro nell’industria, capace di compattarsi per crescere e dare forza alla categoria, conta molto anche essere uniti, dare vita a lobby e azioni che pesino agli occhi delle istituzioni. Per ragioni che invero accomunano anche tante PMI refrattarie a fare rete, tale propensione non prevale nel mondo dello sport. Che infatti, nella sua disunione, non ha voce e subisce regole e decisioni che sovente non gradisce, senza poter risolvere i problemi che lo penalizzano.
OLTRE IL LIMBO
Allora un gestore è così diverso dall’imprenditore? Non è facile dirlo, ma di sicuro difetta nell’alimentare processi aggregativi propri di una categoria compiuta, la quale solo così conterebbe nelle sedi istituzionali, mentre oggi è costretta al suo limbo. Se la solitudine diventa isolamento è perdente; soltanto le coesioni assurgono lo sport a comparto a sé, con una propria identità piena e non eterodiretto da chi non ha competenze e ruolo per farlo. In questa fase di incertezze sistemico-legislative e di difficoltà crescenti, un moto sinergico sarebbe auspicabile per il bene di tutti.
Marco Tornatore